1935, Cina. In un night la bella Willie canta e danza, mentre l’archeologo Indiana Jones negozia con un gangster per uno scambio di cimeli: il gangster vuole truffare e uccidere Indiana, che riesce a fuggire con Willie e un bambino cinese, Shorty. I tre, dopo un viaggio in aereo, si ritrovano in un villaggio indiano i cui abitanti sono terrorizzati dal maraja che vive in un palazzo vicino. Pare che gli uomini del maraja, i Thug, seguaci della dea Kalì, abbiano rapito i bambini del villaggio e trafugato una pietra sacra. Indiana va con Willie e Shorty al palazzo e di notte scopre nei sotterranei un tempio in cui si compiono sacrifici umani e si custodisce la pietra sacra. I tre protagonisti vengono catturati dai Thug. L’archeologo cercherà di liberare i suoi compagni d’avventura e i bambini del villaggio, schiavizzati dai Thug.
Il secondo capitolo della saga di Indiana Jones è, rispetto al primo, visivamente più cupo e tetro, ma al contempo più ironico e umoristico, e scivola spesso nel comico puro. Il senso dello spazio grande, vasto, arioso, prevalente nel primo episodio, si capovolge in un senso dello spazio ristretto, chiuso, opprimente. Sono più insistiti i rimandi a film, fumetti e serie tv d’avventura esotica degli anni ’30-’40, soprattutto al cinema di serie B. Non mancano i riferimenti ai generi del cinema classico hollywoodiano (kolossal, commedia sentimentale sofisticata, con le schermaglie amorose tra Indiana e Willie, e il musical, con il numero di Willie nella sequenze d’apertura, con coreografie simili a quelle di Busby Berkeley, esplicitanti un esotismo in stile Broadway). Come per il primo capitolo, siamo ancora di fronte a un’opera autoreferenziale, dalle forme metalinguistiche (il film come opera chiusa e completa in sé, che si riferisce soprattutto alla sua struttura interna): si afferma di nuovo un cinema fatto di movimento, dinamismo, spettacolo. L’insieme dei riferimenti si apre ancora al folklore, all’antropologia, a tradizioni, miti, religioni, occultismo (la dea Kalì, il vudù), anche se i richiami sono sdrammatizzati e l’opera resta sostanzialmente un film d’avventura e insieme una fiaba. Dominano sempre uno sguardo e un’indole ludici, fanciulleschi: l’infanzia s’impone come presenza fondamentale, portatrice di speranza e positività, con Shorty e i bambini del villaggio. Si torna su alcune tracce narrative già presenti nel primo capitolo: la ricerca di una pietra dal valore inestimabile e dalle qualità soprannaturali; la presenza dei quattro elementi naturali; i serpenti, gli insetti, il disgusto che suscitano.
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