Essere Cristiani Oggi. Il «nostro» Cristianesimo Nel Moderno Mondo Secolare
Giovanni Ferretti
Elledici (2011)
In Raccolta
#319
6*
Religione, Sociologia
Christianity - Essence, Genius, Nature
Brossura 9788801048032
Italian
È forse più difficile oggi essere cristiani di quanto lo era ieri o lo sarà domani? Kierkegaard, di fronte alla cristianità del suo tempo, si propose «di rendere difficile il diventare cristiano, tuttavia non più difficile di quanto non lo sia […] ed essenzialmente della stessa difficoltà per tutti» (Opere, Firenze 1972, p. 570). Giovanni Ferretti mette il cristiano di oggi di fronte a una difficoltà senza cui il cristianesimo non sarebbe nemmeno se stesso, e che tutte le epoche hanno affrontato, quasi sempre con successo: la difficoltà di doversi incarnare nel mondo, di doversi inculturare in esso. È ciò ancora possibile data l’imperante secolarizzazione che «finisce per relegare la religione nel campo tutto privato delle scelte del singolo»? La privatizzazione non esclude forse per principio ogni forma di inculturazione? Si dovrà allora dire che nell’età della secolarizzazione il cristianesimo, diversamente dalle precedenti età, non potrà produrre alcuna cristianità? Ferretti trae da E. Mounier questa preziosa distinzione fra cristianesimo e cristianità, per portare in chiaro il dovere che oggi il cristiano deve porsi: rendere pensabile e praticabile l’incarnarsi futuro del cristianesimo nonostante l’incombere di quel nichilismo che intende proporsi come il pacificato ed organico orizzonte della ormai imperante secolarizzazione: «La messa in crisi del cristianesimo è data oggi soprattutto dal diffondersi di un nichilismo culturale quale “finitismo semplice e soddisfatto” (Claudio Ciancio) che sfocia addirittura nella perdita di senso della questione del senso (Adriano Fabris), ossia dell’interrogativo sul senso della vita e della salvezza, in cui dovrebbe radicarsi la problematica religiosa» (39). Ferretti non si scoraggia. «Dov’è il pericolo cresce anche ciò che ci salva» (Hölderlin). Il nichilismo pone al cristiano l’aut-aut: o la fine del cristianesimo, oppure la sua «trasfigurazione» tramite una «nuova interpretazione» che lo riproponga quale «elemento vivo e vivificante nella cultura attuale». Ferretti offre a tal fine «dieci principi per il futuro del “nostro” cristianesimo. Bisognerà che il cristiano prenda atto che «la Grazia di Dio è misteriosamente all’opera nel mondo intero» (42); per questo non dovrà pretendere di avere «il monopolio dei valori fondamentali», ma suo compito sarà annunciarli e testimoniarli, rallegrandosi e rendendo gloria a Dio ogni qualvolta li trova fiorire e diffondersi al di fuori dei suoi confini» (44-45). Il cristianesimo del futuro dovrà passare dal «sacrale» al «simbolico», cioè «da una realtà esteriore che agisce o s’impone autoritativamente, ad una realtà vissuta e sperimentata interiormente» (50); esso non potrà più compromettersi con il potere politico ed economico in quanto tenuto a «salvaguardare la libertà e fecondità del suo annuncio escatologico» (54). Quindi, «le comunità cristiane dovranno riscoprire il valore e il senso cristiano di essere piccolo seme di vita tra altri» (57); ciò non per spirito rinunciatario, ma perché «il cristianesimo del futuro non potrà rinunciare al compito di essere coscienza critica dello status quo del mondo» (59). Da una parte esso non «rimarrà nelle retrovie delle nuove frontiere dell’umano cui il mondo moderno è giunto, non senza il suo originale apporto» (61), dall’altra accentuerà la propria identità caratterizzata «dall’essere-per-gli-altri, dall’accoglienza ospitale dell’altro» (63). Il cristianesimo potrà così predicare «la pienezza della vita anche quando, per amore di dedizione, la si dovesse offrire per quella del fratello» (64); la riflessione cristiana, in particolare, «dovrà impegnarsi a disambiguare il volto di Dio da ogni residuo d’onnipotenza violenta che s’impone, per annunciarlo e testimoniarlo come il nucleo di un’umanità rinnovata fondata sull’amore – la carità, l’agape – quale capacità più profonda dell’uomo creato ad immagine di Dio» (66-67). Quale banco di prova dell’autenticità del cristiano oggi si impone la vita di Gesù. Su questo tema la teologia del secolo scorso ha fatto grandi progressi, anche con il contributo prezioso della filosofia fenomenologica ed esistenziale, delle quali il Ferretti è conoscitore ed interprete di rilievo internazionale. Egli propone una «fenomenologia di Gesù» in grado di «reinterpretare la forma storica del cristianesimo dopo il distacco dalla forma dogmatico-istituzionale premoderna e dalla forma moderna secolarizzata che ha tentato o tenta di ridurlo a “religione civile”» (37). Ecco i tratti di ciò che è dato cogliere già dal Gesù terreno: Gesù è «“uomo di Dio”, che sa pregare ed aver “fede” in Dio; uomo “compassionevole” per ogni sofferenza umana; uomo “libero” da se stesso per poter “essere-per-gli-altri”; uomo non-violento e capace d’ospitalità e di perdono» (86). La fenomenologia di Gesù deve tuttavia arrestarsi là dove finì la sua vita terrena. Che cosa allora potrà mai dire la sua risurrezione alla cristianità secolarizzata di oggi, se gli stessi credenti sono inclini a ignorarla? «Sembra risultare che anche molte persone che ancora si dicono cristiane, non credono effettivamente alla risurrezione di Cristo e tanto meno alla futura risurrezione dell’uomo; oppure la interpretano in modo puramente simbolico, come un bel “mito” consolatorio o addirittura come una favola d’altri tempi» (106). Eppure, come sapeva bene san Paolo, non vi è fede in Cristo senza la risurrezione di Gesù. Lo puntualizza un insigne studioso di san Paolo a cui ricorro per esprimere questa verità di fede: «Senza la risurrezione, delle due l’una: o non ci sarebbe stato cristianesimo oppure esso si sarebbe limitato ad essere una setta come quella di Qumràn e Gesù avrebbe avuto tutt’al più una sorte analoga a quella del Maestro di Giustizia» (Romano Penna, I ritratti originali di Gesù, II. Gli Sviluppi (San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 531-532). Ma ai discepoli accadde di venire incontrati dal Risorto, e di potere, con il suo aiuto, riconoscere nello «straniero» lo stesso Gesù di prima, anzi di poterlo solo allora finalmente e veramente conoscere, proprio perché risorto. Fra le più recenti ricerche teologiche che si sono poste il compito di «ripensare la risurrezione» Ferretti segnala il volume del teologo di Lovanio Adolphe Gesché, Dio per pensare. Il Cristo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003 (Cerf, Paris 2001). Di quest’opera, «convincente e feconda», fa sua la proposta di interpretare le apparizioni del Risorto come avvenimenti di rivelazione: «Ciò che viene rivelato è il senso nascosto nel visibile della vita di Gesù e, soprattutto, il senso nascosto della sua morte in croce […]: non tragica fine della sua vita (aspetto visibile) ma suo compimento (“tutto è compiuto!” – Gv 19, 30) e via per l’ingresso nella gloria di Dio in qualità di Signore e Salvatore» (124, 126). Se Cristo ha vinto la morte per la salvezza degli uomini, se la sua morte fu un «esserci-per-gli-altri» (Bonhoeffer), pro-esistenza, allora essa svelò, come si esprime Gesché, che «l’uomo non vivrà separato da Dio» (128), e che con ciò stesso «l’homo capax Dei della creazione, diviene, per virtù di Cristo risorto, l’homo capax rerurrectionis». Ferretti evidenzia allora come «la forza salvifica della risurrezione di Cristo abbia una portata salvifica universale, che abbraccia tutte le generazioni passate della nostra storia, oltre che le presenti e le future» (130). Egli perviene a questa conclusione dopo aver messo in luce gli «elementi della cultura contemporanea che possono offrire contributi positivi per ripensare il senso della risurrezione» (112). Valorizza, fra i molti contributi citati, Il principio speranza di E. Bloch, Totalità e infinito di E. Levinas, L’azione di M. Blondel, Homo viator di G. Marcel. Prezioso anche il riferimento alla sequenza di «Creazione, Rivelazione e Redenzione» sostenuta da F. Rosenzweig in La stella della redenzione, «ove è importante sottolineare come questi tre eventi della storia “fondamentale” pervadono tutta la nostra storia, ogni suo momento, benché essa si svolga in successione cronologica» (130 n.). Stante la secolarizzazione avanzata in cui viviamo, e la tranquillizzazione nichilistica che vorrebbe distogliere il cristiano dalle questioni ultime, pare che sia inevitabile e insolubile il conflitto fra chi propugna valori assoluti e il cosiddetto pensiero «laico», incline al «relativismo». Ferretti, che ha frequentato da specialista pensatori quali Kant, Scheler e Levinas, propone una originale «prova di dialogo con il pensiero “laico” come «contributo a stemperare la polemica […] nell’alveo del riconoscimento dell’altro come effettivo interlocutore […], cioè con “carità ermeneutica”» (167). Egli dapprima si rivolge ai laici, facendo osservare che quelli che stanno dalla parte dei valori assoluti li accettano solo in seguito a un atto di libertà, e che per coerenza non dovrebbero imporli agli altri: «Valori non negoziabili o irrinunciabili non significa – e non deve significare – non argomentabili e tanto meno imponibili all’altro con la forza o la violenza» (168). La Chiesa ha tutto il diritto di parlare liberamente e di proporre le sue convinzioni nell’ambito dell’etica pubblica, tenendo sempre ben presente che fa parte dell’«autocomprensione del cristianesimo» il non «far prevalere le proprie convinzioni, cercando di “vincere” con la forza di accordi politici piuttosto che “convincere” con buoni argomenti ed efficace testimonianza» (171). Ferretti si rivolge poi «ai cattolici sensibili agli aspetti di verità del pensiero laico moderno». Egli ricorda il «paradosso» del cattolico E.-W. Böckenförde, secondo cui «lo stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire». Da parte sua la Chiesa cattolica fa riferimento ai principi assoluti del diritto naturale, ma questi – osserva Böckenförde - sono solo «il punto di partenza o il fondamento» in vista di libere «concretizzazioni creative» nelle quali entra in gioco anche la finitudine umana. Si pensi al «prospettivismo-assiologico-emozionale» di M. Scheler: «Ogni persona, ogni epoca storica, ogni cultura e religione hanno la capacità di mettere in evidenza solo un aspetto dell’intero mondo oggettivo dei valori» (179). Dato che «la prova» di dialogo prevede un cammino lungo, «nel frattempo i cattolici devono accettare che la concretizzazione giuridica del valore della persona, di tutte le persone, segua la via del metodo democratico. Quanto ai “laici”, essi non possono che condividere tale via, dato che sarebbe deprecabile dogmatismo […] se ritenessero di avere il monopolio di ciò che è conforme a ragione. Dogmatismo ugualmente deprecabile, ovviamente, se tale pretesa fosse avanzata dai cattolici, per motivi di fede o di retta ragione» (183). Umberto Regina
Dettagli prodotto
LoC Classification BT60 .F47 2011
N. di pagine 184
Altezza x Larghezza 210  mm
Raro SI
Dettagli personali
Letto SI (26/01/2012)
Dedica A Marco, amico estroso e intelligente: una proposta di dialogo, GF
Collocazione To-S-1A
Proprietario Zabot, Marco
User Defined Fields
Regalato da Giovanni Ferretti
Inizio Lettura 21/01/2012
Fine Lettura 26/01/2012
Collocazione Mia To-S-1A
Da leggere No
Consultazione No
Num. Volte letto 1
Note
Un libro troppo difficile per me. Troppa filosofia non studiata sarebbe necessaria per comprenderlo a fondo. Anche perchè è scritto come una tesi: pieno di citazioni, di rimandi, di parole che mi sono estranee. E forse non è libro destinato a me. Per leggerne con apprezzamento lunghe parti occorre essere cristini, avere la fede. Ma è certo stimolante per aprire un dialogo, difficile ma possibile