In luglio a Bellano fa un caldo della malora. L’aria è densa di umidità e il cielo una cappa di afa. Eppure l’acqua che scorre rombando tra le rocce dell’Orrido è capace di tagliare in due il respiro, perché è fredda gelata, certo, ma anche perché nelle viscere della roccia il fiume cattura da sempre i segreti, le passioni, gli imbrogli, le bugie e le verità che poi vorrebbe correre a disperdere nel lago, sempre che qualcuno non ne trovi prima gli indizi. Come per esempio una carta d’identità finita nell’acqua chissà come e chissà perché. Brutta faccenda. Questione da sbrigare negli uffici del comune o c’è sotto qualcosa che compete invece ai carabinieri?
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No, non è un refuso. Andrea Vitali ha scritto proprio così: giometra. Non a caso l’autore gioca con questo neologismo molti capitoli: la storpiatura del sostantivo costituisce una precisa scelta stilistica e un astuto espediente narrativo, utile per dipingere la maschera di un personaggio e la sua meschina anima borghese.
Lessico colloquiale; frasi brevissime spezzate per aumentare l’enfasi; ritmo lento anzi lentissimo per inseguire i personaggi da vicino e studiare la loro vita, come un entomologo studia le formiche. Se il grande antropologo Claude Lévy-Strauss sosteneva che l’uomo va studiato come si studiano le formiche, l’autore sembra aver imparato la lezione, trasformandola in una narrativa che mette sotto la lente d’ingrandimento i minimi gesti, le espressioni, le caratteristiche ambientali in cui si muovono i nostri scarafaggi, dotati di una varia ma non stupefacente umanità.
Nei personaggi di Vitali l’essenza sembra precedere l’esperienza: c’è chi nasce con un “caratterino pieno di aghi”, chi “con i maccheroni in testa”, chi con le scarpe da lavoro ai piedi, chi “giometra”, inesorabilmente attratto dalle figure nello spazio. Non si tratta di essenze definite, intendiamoci: le stesse note possono comporre infinite canzoni.
Questo romanzo racconta l’Italia piccola, quella della profonda provincia, quella dei primissimi anni settanta che somiglia, nei problemi e nelle ossessioni, alla stessa che si è trascinata fin qui oltre i duemila: abbiamo passato la soglia da un pezzo, perdendo i pezzi. I decenni sono svaniti, ma i soliti ritornelli sono rimasti: nascono dalle note dei nostri genomi e dalla cultura del nostro paese; suonano provinciali anche nelle città più grandi, figuriamoci nei piccoli centri. E così, tra un sorso di rosso e una forchettata di brasatino, le miserie e le prevaricazioni e i ricatti e le furbizie e le incomprensioni dei rapporti tra i diversi sessi, età e classi sociali sfilano sornioni, sotto la solita spessa lente d’ingrandimento.
Mentre l’autore segue il cammino delle sue formiche con tenera ironia, il mistero della carta d’identità si risolve e si dissolve in un fine quasi lieto, nella tranquillità di una caldissima estate. Andiamo a vedere come va a finire.
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Letto |
SI (11/12/2014) |
Collocazione |
Calibre |
Proprietario |
Zabot, Marco |
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Inizio Lettura |
10/12/2014 |
Fine Lettura |
11/12/2014 |
Collocazione Mia |
Calibre |
Da leggere |
No |
Consultazione |
No |
Num. Volte letto |
1 |
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La storia della CdI nell'orrido è già presente in altro racconto. Qui è il fulcro della storia.